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Sergio Saija

Poetica

La poetica da me portata avanti tenta di ridefinire il senso dell’arte e,  soprattutto, il senso dell’opera oggi.​ Tale processo avviene approfondendo la quarta dimensione - quella   temporale -  che risulta determinante nella qualificazione dell'identità dell'opera e dell'arte. Ciò avviene attraverso lo studio e l’approfondimento di molteplici elementi, dal  segno alla materia. La materia viene esaminata nella sua pesantezza concettuale e nella sua consistenza. Il luogo dell’interesse, però, è soprattutto inerente al rapporto che i materiali e i segni instaurano all'interno dello stesso campo di realizzazione spazio-temporale, ovvero l’opera stessa. Il processo creativo-esplorativo da me perseguito prevede un segno che non assolva la funzione di richiamo di immagini simboliche o psicologiche, ma che sia la traccia che testimonia il gesto in relazione alla materia. Il mio fare artistico intende il segno come puro, liberato dalla dialettica significante-significato; vuole essere paradosso, per cui esso non vuole significare, eppure significa.

Nella mia poetica, l’analisi trova adito nel mosaico, che presenta dei costrutti concettuali talmente saldi da sussistere al di là della tecnica stessa, come la condizione basilare che la distingue da tutte le altre tecniche: la tessera, cioè l'elemento come parte fondamentale del tutto. La costruzione musiva consente di mantenere allo stesso tempo sia l'aspetto di una composizione sia l'aspetto di un insieme: è uno ed è tutti. Nel mio fare artistico questa viene estrapolata dal suo contesto e viene inserita in una dimensione pittorica e, soprattutto, grafica. L’intenzione non è di snaturare la disciplina, ma di fondere la sua integrità con dei supporti differenti.

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L’esperienza del tempo si riscontra all’interno del segno visibile, della traccia esperibile nelle opere che testimonia solo e solamente l’evoluzione costruttiva del percorso, reso attraverso l'inserimento di tessere in serie, che funge da testimonianza del processo temporale realizzativo. La dimensione temporale, dunque, vuole essere espressa visivamente attraverso la composizione numerabile, intesa aristotelicamente come movimento dal primo al poi, in continuo divenire. L’opera non assume solo il valore di oggetto-per, cioè finalizzato alla costruzione di qualcosa, ma anche e soprattutto come ricordo del momento della costruzione; ponendosi quindi come micro-evento che, insieme ad altri micro-eventi simili, ma unici, costituisce un evento più grande. La scansione, tessera dopo tessera, apposizione dopo apposizione, ma anche attesa dopo attesa, dà la possibilità a chi lo guarda di immaginare agilmente l’andamento creativo, la coreo-grafia che determina la scrittura del tempo. Si tratta di una coreografia introversa, cioè rivolta in sé, finalizzata ad attirare l’attenzione a ciò che è celato alla vista. La pietra, divenuta presenza di un evento, viene alleggerita dalla sua consistenza materiale e viene appesantita dalla sua consistenza temporale.
I segni di questa coreografia hanno lo scopo di sussistere, dopo che hanno assunto valore tramite i gesti da me realizzati per dare loro vita. La loro sostanza è quella di oggetti del tempo che ostentano quella serie di azioni compiute in essi, permeate di emozioni e stati d’animo differenti che caratterizzano il fare artistico. La composizione ha un carattere inconscio, non ha uno sviluppo predeterminato, ma all’opposto diviene spontaneamente, mossa da energie psico-biologiche che veicolano l’azione attraverso pulsioni apparentemente immotivate. La dimensione temporale è intesa in senso soggettivo. L’opera soffre - in senso etimologico - il tempo cairologico, per cui ogni evento costruttivo è interpretato come momento propizio, come istante benevolo e favorevole in cui l’azione viene compiuta.
In questi presupposti concettuali gioca un ruolo cruciale l’attesa. Essa è intesa come un’azione a tutti gli effetti, un atto-non-atto tra due momenti, due eventi, due gesti. Recuperando il suo carattere etimologico (ad-tendere, volgersi a), se ne riscopre la funzione di sospensione volontaria del tempo e per questo consiste nel momento di stasi, il quale costituisce l’essenza stessa del tempo cairologico: non tutti i momenti sono opportuni, il tempo debito va atteso e tale aspettativa non può essere passiva, ma deve mantenere uno stato di tensione estrema, in grado poi di scaricarsi nel momento propizio. È il vuoto che viene riempito sfogandosi con maggior irruenza. L'attesa, inoltre, è al contempo in stasi e in divenire, poiché al medesimo tempo è immobile e protende in avanti. Essa consiste nello stato di potenza assoluto che prorompe nell’atto, è un’attività non agente, l'atto-non-atto per mezzo del quale il più impercettibile movimento del corpo acquista una potenza inaudita. Anche l’attesa, essendo essenza del tempo al pari dell’atto, deve essere leggibile nel campo spazio-temporale che è l’opera d’arte stessa. Essa coincide con il non-gesto, quindi con l’astensione dal compiere un’azione nel campo. Se l’opera fosse completamente cosparsa di segni risulterebbe confusa e caotica; la composizione si mostrerebbe come cacofonica e per questo il mio incedere dentro il campo spazio-temporale dell’opera è costellato di attese, ponderazioni energetiche che alimentano lo stato di potenza, aumentando  a dismisura la tensione che si sfoga poi nell’azione impressiva attraverso la materia e nella materia.